Questo ultimo incontro prima delle festività natalizie è incentrato su un argomento che fa riflettere ed interagire le donne presenti in un modo nuovo: ciascuna racconta quello che la malattia ha dato, e quello che invece ha tolto alla propria vita. Inevitabile e suggestivo il confronto delle tante sfaccettature dei vissuti emotivi legati a questa esperienza.
M. legge le proprie riflessioni: “Dobbiamo pensare che la vita è bella sempre, è un dono prezioso, anche se vivi sotto un ponte…certo è più difficile, ma bellissima lo stesso. Il fatto che io abbia rischiato di perderla, mi ha proprio massacrato, mi ha cambiata nel profondo”.
C. la segue, e condivide con noi la propria esperienza: “…non c’è un’unità di misura del dolore…e questa esperienza non fa paura, fa proprio male”. Il dolore l’ha cambiata, ma lo stesso dolore le ha regalato qualità e doti che “la vecchia sé” non sapeva di avere.
R. non riesce a scrivere. Si apre al gruppo e racconta di quanto sia difficile per lei mettere nero su bianco la storia della sua malattia. “Scrivo sempre, ho sempre scritto di tante cose, soprattutto di grandi catastrofi…ed ora, rispetto alla malattia, non mi viene da scrivere nulla di cosi triste…ho la sensazione di avere davanti a me un foglio bianco da poter riempire ogni giorno con mille cose…eppure non riesco a scrivere nulla”.
La difficoltà di R. condivisa con il gruppo, ci consente di fare molte riflessioni sulla difficoltà di mettere nero su bianco le nostre emozioni. Scrivere significa in primo luogo “riconoscere”, e riconoscere significa essere in grado di avviare un processo di accettazione, in questo caso di accettazione della propria malattia, ma ancor di più delle proprie fragilità. E questo processo è lungo e laborioso per ogni donna, ed ha tempi del tutto soggettivi e mai uguali.
T. ci racconta la sua esperienza: “La malattia”, dice, “mi ha aperto gli orizzonti dell’opportunità. Voglio vivere a mille ogni emozione, non fermarmi…non faccio fotografie nella mia vita, non voglio fermare più niente, non voglio perdermi le emozioni del momento guardando le cose da dietro un obiettivo, non voglio perdermi la gente, le emozioni…voglio vivere e basta”.
Emerge nel gruppo una riflessione importante, legata alla diversità, alle differenze tra le persone e tra le loro vite, che probabilmente fa vivere la malattia in maniera cosi differente: M. in particolare osserva come “per uno strano meccanismo, se la malattia ti da qualcosa, se in qualche modo accelera la tua vita che magari scorreva lenta, allora ci guadagni, puoi arricchirti da questa esperienza, puoi coglierla come un’opportunità. Se invece” continua M. “sei una persona che va già a mille, che hai una vita frenetica e piena di cose, allora la malattia ti rallenta, è un peso, ti leva delle cose, è più difficile da accettare”.
T. ci legge una poesia che ha scritto, una curiosa ed intelligente riflessione sull’incontro tra due segni zodiacali, il suo e quello del cancro. Ascoltiamo attente e divertite, emozionate, il racconto di questa particolare relazione astrale.
T. ci parla anche della tecnica del Kintsugi (l’arte di riparare con l’oro le porcellane), regalando a tutte le presenti un prezioso messaggio di ricostruzione e di valorizzazione delle nostre ferite e delle nostre cicatrici.
C. legge le sue riflessioni relative alla fragilità e a quanto la malattia le abbia fatto comprendere che “abbiamo tanto ma non abbiamo niente se non siamo capaci di guardare il cielo e rialzarci dopo le difficoltà”.
P., come R., ci racconta della sua difficoltà a scrivere di emozioni e pensieri, quanto invece della sua attitudine a scrivere di numeri e funzioni matematiche. Ci legge un’emozionante riflessione sul come siano cambiati i suoi 5 sensi dopo l’esperienza della malattia, il suo modo di sentire, di percepire odori e situazioni, il suo modo di accostarsi alle cose della vita con i propri sensi rinnovati e più pronti a captare e a ricevere.
La mia malattia. Non ero pronta, come del resto nessuno, ad affrontarla.
E’ scoppiata come un’attentato terroristico.
Scoperta per caso anzi direi per fortuna. Può sembrare un assurdità usare il termine fortuna, eppure e’ così.
Senza la fortuna, forse, oggi non starei a scrivere.
Un 19 febbraio ho incontrato un’Angelo ecografa e da quel giorno ho iniziato la mia battaglia.
Già sette anni prima la mia vita era stata messa a dura prova. Ma il tempo aiuta a dimenticare.
Ho dovuto ritrovare il coraggio che pensavo avessi perduto.
Oggi cerco di non ripercorrere quei momenti.Li guardo come se non mi appartenessero. Ho provato tanto dolore nell’anima.
Cosa mi ha dato? La forza, il coraggio, la determinazione a non farmi più ingabbiare da stupide formalità.
Cosa mi ha tolto? L’illusione che la mia vita intesa come Affetti, come Giorno e Notte, come Mare e Monti , come Pasqua e Natale non sarebbe finita mai.
Di questo la incolpo più della sofferenza fisica che mi ha provocato.