Cosa dico ai miei bambini
L’esperienza cui facciamo riferimento trae spunto dal lavoro che viene svolto nel reparto di ginecologia oncologica dal 2000 circa. Il reparto di ginecologia oncologica all’interno del Polo della Donna e del Bambino offre alla paziente un approccio multidisciplinare che prevede numerosi interventi specialistici durante le tappe della malattia. In quest’ottica il supporto psicologico alla pz e alla sua famiglia rappresenta un servizio integrato nel sistema di cura. La nostra attenzione è rivolta al sistema famiglia perché riteniamo rappresenti una risorsa fondamentale nel trattamento della pz oncologica.
La famiglia è un insieme di persone che interagiscono tra di loro con una storia comune alle spalle, è un sistema in continuo sviluppo che tende a promuovere l’evoluzione del ciclo vitale dei suoi componenti: “… la malattia interrompe il normale fluire del ciclo vitale e sconvolge le relazioni all’interno del nucleo familiare….” (Soccorsi S., “Estratto di terapia familiare”, 1977).
Il progetto Pilota con cui siamo partiti nel 2000 è quello di sostenere la relazione madre-bambino quando la mamma è affetta da patologia neoplastica.
Comunicare al bambino ciò che sta accadendo alla mamma, non tenerlo all’oscuro di un evento così importante per l’intera famiglia significa sottrarlo ai fantasmi dell’ansia e dell’angoscia abbandonica.
Chi deve dire cosa ?
Prima di tutto noi riteniamo che la comunicazione deve essere adeguata all ‘età anagrafica del bambino – ragazzo- adolescente.
La psico-oncologa nel corso della malattia ha effettuato una corretta ed attenta analisi delle relazioni familiari che le permette di individuare il care-giver ( in genere il marito della pz), e sensibilizzarlo alla comunicazione con i figli. A volte si può affidare tale compito ai nonni . sono spesso gli stessi adulti a sentirsi imbarazzati nel dover spiegare qualcosa di grave ad un bambino non sanno come farlo e soprattutto se sia giusto… temono di esporlo a maggiori sofferenze o a situazioni non comprensibili. Non è così. Pertanto è di fondamentale importanza, il sostegno psicologico a colui che comunicherà con il minore. Va sensibilizzato all’importanza della comunicazione e motivato alla necessità di scegliere e calibrare le parole e le modalità più adatte. Va individuata e condivisa con l’adulto una strategia di comunicazione adeguandola a quella storia familiare che è sempre unica ed irripetibile.
A un bambino piccolo di 3/5 anni si può raccontare una storia ,una favola dove la principessa … vola in cielo tra gli angeli e da li protegge tutti quelli a cui vuole bene. I bambini comprendono molto bene cosa sta accadendo ma devono essere aiutati a trovare un senso agli eventi per ritrovare la sicurezza per continuare a crescere . La favola raccontata da una nonna offre la possibilità di essere assimilata per gradi e nel modo giusto, i passaggi più difficili vengono spiegati e commentati , l’itinerario pauroso viene affrontato tenendo per mano la figura amica di riferimento per il bambino.
Il racconto di una favola non è mai meccanico, è una vera e propria relazione ed è proprio quella relazione se pur carica di angoscia che permetterà all’adulto di contenere il bambino esposto ad un finale della favola tanto doloroso.
A un bambino fino ai 6/10 anni di età si dice quello che per lui è già evidente, cioè che la mamma , ad esempio, è molto malata, che sta lottando contro la malattia, prendendo le medicine e facendo tutto quanto il possibile. Il bambino deve sapere anche che non è colpa sua se la mamma si è ammalata: non è successo perché “ha fatto il cattivo”, ma perché le persone si ammalano indipendentemente da quello che succede intorno a noi.
A volte capita che i bambini vivano un senso di colpa: mamma si è ammalata perché io non sono stato sufficientemente bravo e buono. Per questo motivo noi sosteniamo la comunicazione con i bambini al fine di prevenire i sensi di colpa e l’ansia abbandonica che la perdita potrebbe generare. I bambini hanno bisogno della conferma della reale morte della persona cara, altrimenti potrebbero passare mesi o anni nella ricerca o nell’attesa del ritorno della persona deceduta.
Nel caso degli adolescenti la comunicazione è maggiormente delicata. Tendono a fuggire e rimuovere o negare il problema, creando spesso grandi disagi all’interno del nucleo familiare , un “agito” che serve per denunciare il disagio. La comunicazione li riporta nel dolore, li mette a confronto con uno spettro di emozioni che difficilmente in questa fase adolescenziale ha una chiara collocazione. Le emozioni ancora spaventano, gli adolescenti sono per antonomasia “gli indefiniti”, occupano una terra di mezzo e uno spazio nel quale son richieste capacità di “adulto” e sono tuttavia consentite reazioni “da bambino”. In questo contesto, si rivela di importanza fondamentale il supporto psicologico che aiuta il ragazzo a collocare le proprie emozioni, a poterle riconoscere ed esprimere.
Infine ritengo utile sottolineare che dopo aver effettuato una comunicazione di malattia grave della mamma e successivamente al decesso è molto importante essere presenti con il bambini al fine di cogliere le loro capacità adattive all’evento luttuoso. Uno strumento importante del quale avvalersi è rappresentato dal disegno del bambino.
Il “Disegno della Famiglia” (soprattutto dopo i 4 anni) è un mezzo di libera espressione, che permette al bambino/adolescente di proiettare all’esterno (ossia sul foglio) le tendenze rimosse nell’inconscio e rivelare così i veri sentimenti che prova verso i propri familiari; inoltre è molto rapido sia da eseguire che da interpretare.
i disegni inseriti nella storia della malattia e nelle varie fasi di cura ci fanno comprendere le emozioni e le paure non espresse ma esplicitate attraverso l’elaborato . Se i bambini più grandi poi come spesso avviene raccontano la storia del disegno, abbiamo modo di intervenire , prevenire e contenere il malessere psicologico.
La rilettura del materiale clinico e i disegni dei bambini che nel tempo sono cresciuti , diventati grandi, ci hanno permesso di consolidare la nostra opinione circa l’importanza di comunicare ai bambini la diagnosi della mamma. La figura dello psico-oncologo rappresenta per i bambini una opportunità di mediazione tra le proprie emozioni e quelle che percepiscono nell’adulto di riferimento . può apparire paradossale il fatto che spesso i bambini tendono a parlare più facilmente con persone esterne alla famiglia piuttosto che con il proprio genitore di riferimento.
Occorre sempre ricordare che le emozioni possono essere manifestate ed espresse anche se ritenute negative perché fanno soffrire. E, cosa fondamentale, il bambino si sentirà amato da un amore sincero perché si è stati onesti con lui.
Dott.ssa Barbara Costantini
Psico oncologa c/o Ginecologia Oncologica
Polo della Scienza della Salute della Donna e del Bambino
Policlinico Gemelli ,Roma