Donne in rinascita
Diego Cugia,
autore e scrittore, racconta della grande forza di ricominciare delle donne, attraverso il personaggio da lui ideato Jack Folla (protagonista di un programma radiofonico).
Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.
Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.
Che uno dice: è finita. No, finita mai, per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.
Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti da la morte o la malattia.
Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l\’esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.
Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai se sei all\’altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai. E sei tu che lo fai durare.
Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo; che sei terrorizzata che una storia ti tolga l\’aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s\’infiltri nella tua vita.
Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane.
Sei stanca: c\’è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa. Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre: “Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così”.
E il cielo si abbassa di un altro palmo. Oppure con quel ragazzo che ami alla follia.
In quell\’uomo ci hai buttato dentro l\’anima; ed è passato tanto tempo, ce ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata.
Comunque sia andata, ora sei qui e so che c\’è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.
Ed è stata crisi. E hai pianto. Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d\’acqua nello stomaco. Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino.
Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo. E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l\’aria buia ti asciugasse le guance? E poi hai scavato, hai parlato. Quanto parlate, ragazze!
Lacrime e parole. Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore. “Perché faccio così? Com\’è che ripeto sempre lo stesso schema? Sono forse pazza?” Se lo sono chiesto tutte.
E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli.
Un puzzle inestricabile. Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?
E\’ da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai. Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.
Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova te.
Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa.
Non puoi più essere quella di prima. Prima della ruspa.
Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.
Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel.
Parte piano, bisogna insistere. Ma quando va, va in corsa. E\’ un\’avventura, ricostruire se stesse. La più grande.
Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.
Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo “sono nuova” con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo.
Perché tutti devono capire e vedere: “Attenti: il cantiere è aperto. Stiamo lavorando anche per voi. Ma soprattutto per noi stesse”.
Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa.
È la primavera a novembre. Quando meno te l\’aspetti.
Il gruppo già “affiatato”, in cui le donne hanno iniziato a creare dei legami e a condividere non solo storie, ma Vite …si arricchisce di una nuova componente
La reazione all’arrivo di C. è stata “tecnicamente perfetta”…e esaminandola su un piano emotivo e più umano, piuttosto che “terapeutico”, l’accoglienza è stata commovente. Segno che le donne hanno assolutamente compreso e fatto proprio il senso di questo lavoro svolto in gruppo assieme alle psico oncologhe
Le donne presenti provano a spiegare a C. il motivo degli incontri, la modalità di lavoro insieme, la finalità di questo progetto.
Prende la parola U.: “…in questi incontri abbiamo raccontato storie, emozioni…siamo qui ad unire le forze, a testimoniare la nostra presenza, con il sorriso, con la volontà di continuare ad esserci. Ci siamo chieste tutte perché siamo state chiamate…la mia risposta è che oggi io sono “U + quell’esperienza”, ma non ho bisogno di rivangare il passato…solo di ricordare a mestessache oggi non sarei quella che sono senza aver affrontato la malattia”.
Prende la parola C e racconta la sua storia di malattia, guarita da 10 anni, ne aveva 31 quando si è ammalata, stava per sposarsi…con fatica e coraggio la sua vita è andata avanti, ha celebrato le sue nozze durante il percorso di cura. Il suo racconto è un carico di emozioni che urtano addosso alle altre donne che ascoltano attente, al termine un applauso e tanti sinceri “Benvenuta!”.
U. è la prima a commentare il tema lasciato a tutte le donne la scorsa volta, la richiesta di scrivere riflessioni e pensieri che sarebbero emersi dopo la lettura del brano “Donne in rinascita” di Diego Cugia. U. conosce l’autore, non lo ama, non lo reputa sincero…Il suo commento è sarcastico, breve e conciso: “Sarà per questo che poi ci uccidono?”.
Legge poi V. le sue riflessioni, dice che vede tutte più rilassate, più tranquille…il suo elaborato è chiaro e semplice, come lei…ci mostra anche un disegno, lo racconta come “una scala di colori vivaci, un arcobaleno perfetto dopo una tempesta di pioggia”, ogni colore rappresenta nel suo immaginario una delle donne presenti. Dice V.: “L’ho capito guardando voi, anzi, NOI: siamo noi le protagoniste di noi stesse, associo ad ognuna un colore…U. è il rosso vivace, lei che si prende beffa della malattia; poi c’è il verde speranza…”, e cosi racconta i “suoi” colori attraverso le persone che li rappresentano. Ci racconta di come ha dovuto ri-fare conoscenza con se stessa, scoprendo in questo gruppo una persona nuova, che non aveva mai avuto il tempo di conoscere…
M.A. ha portato con se un quaderno nuovo, e ci legge gli appunti che ha scritto nelle pagine di quel diario. Riconosce l’importanza del tempo che passa, che crea legami, interazioni, che ci fa diventare compagne…non più solo “estranee”. Si commuove mentre legge: “non ho mai portato rabbia, solo dolore nell’anima…”. Forse ora, un po’ di quel dolore riesce ad uscire.
La parola a M., le dedichiamo uno spazio particolare, perché desidera condividere una sofferenza che porta con sé da alcune settimane: una diagnosi di cancro appena fatta al marito. Racconta di quanto sia dura, di come sia doloroso vedere i figli soffrire di nuovo, di quanto non vorrebbe dargli dolore. Il gruppo la accoglie,la fa sentire protetta, al sicuro…Una “compagna di viaggio” le dice: “Noi abbiamo imparato l’umanità dell’ospedale, ci sono persone che diventano belle qui dentro…se ti affidi a loro, andrà tutto bene”.
P. è attenta, riflessiva. Legge quello che ha condiviso sul sito web di Iris, riguarda il diritto che ognuno ha ad avere una vita, ma ancor di più il dovere ed il piacere di viverla, a modo proprio, e nel miglior modo possibile. “Le ‘buche’ che incontri nella vita ti rendono diversa, ma forse con il tempo si impara ad apprezzareogni particolare che prima nella fretta neanche guardavi”.
C. non era presente all’incontro, ma ci ha mandato una mail con le sue riflessioni: “…Durante il mio percorso ho avuto l\\\’occasione di incontrare persone meravigliose…persone diverse da te, con una vita totalmente opposta alla tua, magari, con un carattere assolutamente differente…E capisci che erano li ad aspettarti, e tuad aspettare loro, e come ad un tratto ti trovi a parlare con loro di quello che stai vivendo, e loro sembrano le uniche a capire come ti senti e al momento opportuno riescono a risollevarti il morale…”.
Il gruppo evidenzia di quanto il tempo sia strano durante la malattia…si ritorna bambini, si chiede alla “compagna di sala d’attesa” se – chissà – magari si starà in stanza insieme per l’intervento…“un po’ come quando da ragazzine si andava in bagno a coppie…ci si fa compagnia, si condivide!”, si conoscono persone di una diversità incredibile, eppure tutte accomunate dallastessa grande paura.
Il tema che ha preso corpo oggi è probabilmente quello del TEMPO….
il tempo come strumento di guarigione, il tempo come recupero della progettualità, il tempo come opportunità di cambiamento e di conoscenza, il tempo che crea legami e che cambia le persone, il tempo che ripara, il tempo che va – nella stessa persona e nello stesso momento – a diverse velocità, il tempo del corpo e il tempo psichico, quello della mente…e di quanto “tempo” ci voglia per far incontrare queste diversità.
…….C\’è un tempo negato e uno segreto
un tempo distante che è roba degli altri
un momento che era meglio partire …
….C\’è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c\’era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato….
…È tempo che sfugge, niente paura
che prima o poi ci riprende
perché c\’è tempo, c\’è tempo c\’è tempo, c\’è tempo
per questo mare infinito di gente…..
…C\’è un tempo d\’aspetto come dicevo
qualcosa di buono che verrà
un attimo fotografato, dipinto, segnato
e quello dopo perduto via
senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata
la sua fotografia…
….Dicono che c\’è un tempo per seminare
e uno più lungo per aspettare
io dico che c\’era un tempo sognato
che bisognava sognare
Alcune frasi significative dell’incontro:
“Quando ho iniziato questi gruppi ho dovuto riconoscermi di nuovo, presentandomi a me stessa…Non mi sono mai sentita una sopravvissuta, non ne ho avuto il tempo…ho solo pensato ‘chi crescerà i miei figli al mio posto?’…e la risposta è ovvia, solo io potevo farlo, solo io li posso crescere, nessun altro, quindi io DEVO esserci…Non ho mai avuto tempo di sentirmi malata, né tantomeno sopravvissuta. Solo qui, per la prima volta, mi sto chiedendo chi sono, e rifaccio conoscenza con me stessa”
“Questa è l’Equipe del prof. Scambia…io mi sono affidata alle loro mani, ed eccomi qui!”
“Ricordo che dopo l’intervento ho detto ‘mi è passato sora un tir…’, e la dottoressa mi ha risposto ‘…lei non sa come è ridotto il tir’!”
“Se c’è una cosa che impari, è proprio questa: non c’è un’unità di misura per il dolore, semplicemente lo vivi, nel tuo modo, con la tua testa ed il tuo cuore, e va rispettato vicendevolmente”
“Mai guardare Internet…tutte lo guardiamo, tutte cerchiamo notizie…ma per Internet io ero morta ieri!”
La Poesia
” Che dolore ho sopportato ad ogni lutto che è arrivato
Mi manchi, amica cara, ma continuo la mia vita anche se mi hai lasciato
Molto vi ho ascoltato
Prospettive nuove per osservarci così avremo un altro impatto
Rabbia da tirar fuori per riprendere fiato
Tsunami dell’anima mi hai rigenerato
Umorismo l’elemento che mi ha aiutato
Vado a vivere sull’ISOLA CHE C’E’ e un’altra pagina ho voltato “
Tiziana Meloro