Roma, Luglio 2016
La seconda esperienza del gruppo di scrittura terapeutica nasce dal desiderio di accogliere le numerose richieste di sostegno psicologico che, nella pratica clinica quotidiana, ci viene fortemente richiesto dalle pazienti che affrontano il complesso percorso delle chemioterapie.
Ci siamo rese conto, nel lavoro che svolgiamo in reparto e in Day Hospital, che a volte – per alcune donne – lo spazio del colloquio psico-oncologico non è abbastanza, che c’è la necessità di un “terzo tempo”, di un tempo e di uno spazio in cui possano non soltanto parlare di sé e della propria esperienza di malattia, ma anche fermarsi a guardarsi dentro per trovare poi la forza e la capacità di tirare fuori quello che dentro, se non riconosciuto, genera solo dolore e paralisi. Si tratta, sostanzialmente, di decodificare attentamente i messaggi che provengono anche dalle pazienti che tendono a reprimere i propri sentimenti, di aiutarle a mettere in moto un processo “trasformazione” affinché dalla malattia e dai vissuti che da essa derivano, possa nascere qualcosa di buono. È un opportunità di dare voce alle emozioni.
L’intensità dei sentimenti secondari alla diagnosi di cancro mette in moto forze massicce, sia intrapsichiche che interpersonali, tese perlopiù ad impedire l’espressione delle emozioni – psichicamente inaccessibili perché troppo forti e dolorose: molte pazienti ritengono che avere il controllo sulle proprie emozioni significhi avere il controllo sulla malattia. Purtroppo non è cosi, e trovarsi improvvisamente ad impattare con il mare di sensazioni che inevitabilmente si muovono e prendono forma dentro di sé, può essere un’esperienza profondamente dolorosa e disarmante per molte di loro.
Il gruppo nasce proprio con l’obiettivo di trovare la forza “nell’essere insieme” e di avviare un processo di condivisione delle emozioni legate al vissuto della malattia. Far parte di un gruppo può inoltre offrire alle pazienti quel senso di comunione necessario per attivare meccanismi di coping efficaci, oltre a dare l’opportunità di imparare le une dalle altre.
Il gruppo di quest’anno è nato con l’arruolamento di 10 pazienti in corso trattamento antiblastico (terapie e/o mantenimento), che hanno alternato la loro presenza agli incontri per una serie di fattori, tra i quali la concomitanza con le terapie, i controlli clinici e spesso il malessere dovuto agli effetti collaterali dei trattamenti. L’intero gruppo – nella realtà dei fatti – non è mai stato al completo, tuttavia la sensazione è sempre stata quella di essere tutte presenti, perché la presenza psichica è stata certamente superiore all’assenza fisica.
Analizzando e riflettendo sulle possibile cause inconsce delle numerose assenze, ci siamo rese conto che un altro meccanismo determinante nella discontinuità della partecipazione agli incontri del gruppo ha a che fare con la capacità di creare legami, di stringere rapporti, di progettare amicizie. Chi fa terapie, vive ancora pienamente quel lutto della progettualità – tipico delle nostre pazienti – che non consente loro di immaginarsi nel futuro, e che impedisce di conseguenza qualsiasi tipo di “investimento emotivo” e di “investimento nel tempo”: i legami rappresentano un “pericolo”, l’incertezza del futuro rende difficile stringere relazioni significative.
Il nostro primo incontro è stato il 23/11/15: Angela, Liliana, Clara, Federica, Manuela, Elisabetta, Giuliana, Maria, Daniela e Sara…dieci volti di donne bellissime che stanno combattendo la loro battaglia, con una forza ed un coraggio che soltanto chi combatte una malattia come questa può essere in grado di provare.
Sin dal primo incontro hanno creato una relazione profonda e carica di umanità: il gruppo ha bilanciato quel naturale senso di isolamento sociale causato dalla malattia.
Le conduttrici del gruppo hanno suggerito di volta in volta degli spunti sui quali riflettere e scrivere, e le signore si sono attivate definendo ogni volta un “bisogno” personale e condividendo i propri elaborati.
Notiamo un particolare significativo: dopo un primissimo accenno alla diagnosi e alle terapie, il racconto del primo incontro lascia spazio – tanto ed intenso – alle emozioni, alle strategie, ai pensieri e alle risorse. Anche a qualche lacrima e… alla rabbia. Ogni malattia ha dietro una storia, una donna, un percorso diverso da tutti gli altri…e con esso una serie di capacità o incapacità, di risorse o di vuoti, di movimenti o di paralisi.
D. ci racconta della sua modalità di vivere la malattia, l’ansia e l’incapacità di affrontare la recidiva da poco comunicata. Confida alle compagne che non riesce a parlarne con nessuno, i figli ed il marito rappresentano per lei persone da “proteggere”, il gruppo diventa per lei il primo contesto dove riesce a piangere e ad affidare la sua angoscia di morte… “che secondo le statistiche lette su internet è oramai quasi imminente” . Un silenzio lungo da tollerare, le donne si stringono intorno a lei e nonostante il livello di dolore provato da ognuna di loro, riescono a condividere e a fungere da contenitore, restituendole una speranza e suggerendole di affidare alla famiglia parte della sua angoscia. Qualcuna la esorta a non reggere da sola: “…non essere una super woman, non ce la puoi fare!”.
E’ proprio quando le cose non vanno per il verso giusto, quando sembra esserci un problema, che dobbiamo essere in grado di chiedere aiuto. C. restituisce al gruppo la grande capacità – che oggi è per lei una risorsa – di “concedersi il diritto di stare male, di chiedere aiuto”.
Significativa la chiusura di questo incontro: la più giovane del gruppo regala alle compagne di viaggio una bella verità: “…sono in difficoltà, provo ansia, ascoltare tutti questi racconti mi ha messo agitazione…eppure mi sento libera di dirlo e di provarlo, mi sento compresa”.
Una delle più giovani pazienti del gruppo utilizza questa esperienza per sperimentare le sue capacità interpersonali; desiderava disegnare e fare lavori creativi sin da piccola ma non le era stato concesso dalla sua famiglia pertanto, stimolata dai temi proposti nel gruppo, decide di utilizzare il tempo della chemioterapia e del successivo mantenimento come un tempo riparatorio per fare, concedersi, e preservare la sua dimensione materna fin ora mediata dalla propria madre.
L’apertura e l’espressione delle emozioni ha rappresentato uno degli scopi centrali del percorso. Alcune donne sono spinte ad apparire più forti e capaci nell’affrontare la situazione di quanto in realtà non siano. Questo tentativo di nasconder e le emozioni e di mostrare un atteggiamento positivo si dimostra spesso alla lunga inefficace e comporta un notevole consumo di energia emotiva. Nel tentativo disperato di reprimere le emozioni “negative” vengono in realtà represse tutte le emozioni, nel timore di perdere il controllo delle proprie angosce. La solitudine e l’isolamento affettivo – apparentemente funzionale alla progressione di malattia – in realtà rappresenta un peso insopportabile che porta a meccanismi dissociativi. Il gruppo scopre cosi, anche nel dolore, che un libero sfogo emotivo può essere seguito da una sana risata. E scopre, in fondo, che a ridere (pur se malate), non c’è davvero nulla di male e che, anzi, può essere terapeutico.
L’incontro del 7 Marzo lascia il segno per tutte. E’ un momento molto speciale in cui il “vecchio” gruppo incontra il “nuovo”. L’idea nasce spontaneamente da entrambe le parti. Da un lato le pazienti che chiedono di poter incontrare chi oggi può dire di avercela fatta, chi può dare loro la forza e la motivazione a non mollare, a tenere duro…dall’altra le donne del “vecchio gruppo” che chiedono di poter incontrare le nostre pazienti per dare loro coraggio e per portare la propria testimonianza. Dopo lunghe riflessioni, decidiamo che l’incontro può essere importante per entrambe, che chi ha vissuto questa esperienza sulla propria pelle può forse dare e trasmettere qualcosa come nessun altro può fare. Sono momenti intensi, carichi di sguardi, di gesti, di parole, di simboli. Avviene infatti un passaggio di “consegne” riguardo tutte le sfere legate alla malattia e al percorso di chemioterapia.
Come lo scorso anno, avevamo chiesto nel corso degli incontri di condividere con il gruppo un oggetto-simbolo del loro percorso di malattia. I “simboli” portati quest’anno sono apparsi strettamente legati alle terapie e ai loro effetti collaterali…nel precedente gruppo (quello delle donne guarite) gli oggetti-simbolo erano preziosi messaggi di un percorso di “riabilitazione” psico-fisica, nel quale erano riversate le capacità ed i talenti di ciascuna: lavori di riciclo creativo, ricordi di viaggi, libri e letture donate o scoperte…Nel gruppo attuale questo non sembra ancora possibile: le nostre donne sono troppo impegnate nella loro battaglia per potersi esprimere attraverso qualcosa che non sia il proprio corpo, il proprio dolore, il proprio sintomo emergente. Comprensibile, umano. Per questo è ancora più bello il dono prezioso che R., (del precedente gruppo), fa a tutte le altre, riuscendo a ridare in qualche modo un senso al loro tempo e a spostare l’attenzione dalla malattia alla guarigione: una bustina di semi da piantare e da veder crescere, simbolo di speranza nel futuro, di radici da mettere, di cose profumate e piene di colore, di rinascita, di raccolta dopo i tanti sacrifici che si affrontano.
S. ci fa commuovere con la sua testimonianza: “Io sono morta il 6 Novembre, e sono rinata il 6 Novembre”… La diagnosi rappresenta ancora oggi per tante donne una sentenza di morte, una condanna. Ma può trasformarsi e diventare una rinascita, un punto di partenza per un sé tutto nuovo, per una vita diversa, e forse più ricca.
Tra i simboli che il gruppo sceglie per rappresentarsi, emergono due in particolare: il fiore di Loto, proposto da L., che simboleggia tanti aspetti che si ritrovano nella malattia e nel percorso di cura: la notte si chiude per riaprirsi poi più bello e luminoso la mattina seguente (rappresenta la forza vitale capace di rigenerarsi); la consapevolezza della propria natura e della propria forza; la capacità di non farsi contaminare dalle “cose brutte” di questo mondo; più di tutto, però, è un fiore che affonda le radici nel fango, si distende sulla superficie delle acque stagnanti, il suo stelo – apparentemente fino e fragile – in realtà non si spezza ma sostiene un fiore immacolato e bellissimo. L’altro simbolo scelto dal gruppo è un braccialetto di perle, tutte legate da un filo, tutte vicine, tutte apparentemente uguali ma completamente differenti: “…Durante il percorso di questo gruppo siamo diventate perle, che inconsapevolmente si sono legate le une alle altre attraverso un filo, pur mantenendo la propria unicità”.
Il percorso si conclude con la condivisione di grandi emozioni che ciascuna dona alle altre, ma che allo stesso tempo ha bisogno di ricevere. E’ evidente – e commovente – l’incapacità di “separarsi”, il desiderio di tutte le presenti di non lasciar andare, di trattenere il più possibile di questi volti, di queste storie, di queste emozioni, di questi sguardi cosi pieni di speranza e di giustizia. Siamo convinte che le persone che hanno tra di loro legami significativi, si influenzino reciprocamente secondo un segno – positivo o negativo – una qualità ed una intensità che dipendono dagli aspetti contingenti della situazione .
Consideriamo inoltre che i principi della prospettiva sistemica dovrebbero indurre a considerare sbilanciato e contraddittorio un modello che enfatizza e richiede il cambiamento di una sola parte del sistema terapeutico. All’interno del “sistema gruppo” infatti anche le co-terapeute operano un cambiamento, un evoluzione personale che le porta ad arricchire la propria competenza professionale .
Si conclude cosi questo nostro viaggio. Faticoso, doloroso, ma anche ricco di emozioni belle ed intense.
Ci portiamo a casa ancora una volta, al termine di questo nostro percorso, la voglia di combattere di grandi donne, lo sguardo insicuro ma pieno di speranza, la capacità di condividere e confrontarsi nel bene e nel male, la passione per la vita, il bisogno di sentirsi donne aldilà della malattia e del dolore, la fatica, ma anche la forza, di affrontare ogni giorno che viene.
Ringraziamo l’Associazione Iris Roma e la Brystol- Myers Squibb che hanno sostenuto e finanziato il progetto dando l’occasione di riscoprire le potenzialità individuali di ogni componente del gruppo e di mettere in rete le emozioni ed i vissuti legati alla patologia neoplastica della donna.
Vogliamo chiudere con la frase bella e toccante di una delle nostre pazienti, che speriamo sia un augurio per tutte le donne che devono combattere questa difficile battaglia:
“VOGLIO SVEGLIARMI IN UNA BELLA MATTINA DI SOLE, ED AVERE IL SORRISO SPENSIERATO DI CHI STA BENE!”.
Grazie a tutte per aver condiviso con noi una parte importante della vostra strada e di averci affidato pensieri ed i vissuti intimi ed unici.
Barbara Costantini
Letizia Lafuenti